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Perché Carlo De Benedetti merita il nostro disprezzo?

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Ieri ho indirizzato i nostri lettori a un articolo pubblicato da liberoquotidiano.it che è stato molto apprezzato, tanto è vero che il numero dei lettori è schizzato verso l’alto quasi immediatamente e dalle 18 del sabato alle 11 della domenica è un fatto inusitato.

Mi aspettavo commenti al vetriolo da parte dei soliti difensori di chiunque sia contro Berlusconi, dal diavolo allo scemo del paese, e invece niente. Nessun commento, né negativo, né positivo.

Ma siccome odio chi fa affermazioni senza motivarle, il mio “io” profondo si è arrabbiato con me, e mi ha spinto a precisare perché affermo che De Benedetti meriti il nostro disprezzo.

Non si tratta di parlare delle solite note vicende: SME, Banco Ambrosiano, Mondadori. Si tratta di richiamare alla memoria i pochi casi in cui ebbi a che fare direttamente con il suo modo di agire.

Carlo De Benedetti può essere una voce del vocabolario “sinonimi” da mettere insieme al vocabolo “scalate”. Da buon comunista alla gauche caviar, radical chic e con la puzza sotto il naso, ha tentato più scalate lui alle società in cui è entrato a far parte che Walter Monatti sulle vette di tutto il mondo. Solo che a Monatti riuscivano quasi tutte, a lui quasi nessuna. Sempre per colpe degli altri, beninteso.

La prima volta che ebbi a che fare con lui fu quando, giovane venditore alle prime armi, mi capitò di girare per grosse aziende per proporre degli articoli tedeschi nel campo dell’elettronica. Se capitavo in aziende private, tutto bene. Ma se mi capitava di avere a che fare con aziende pubbliche, allora era un’altra solfa. Entravo in uffici le cui scrivanie erano tutte dotate di computer (marca Olivetti, beninteso), coperti da teli di stoffa e in molti casi sormontati da ameni vasi di fiorellini. Quando chiedevo ragione del mancato utilizzo dei PC, la risposta era sempre la stessa: “Non hanno nemmeno chiesto se ci servivano o no e se eravamo capaci di utilizzarli. Sono stati acquistati e basta.”. Aiuti di Stato? Ma quando mai. Chi era al vertice dell’Olivetti? Carlo De Benedetti.

E quando alcuni anni dopo De Benedetti smobilitò l’azienda, indovinate che fine fecero i dipendenti in esubero? Molti di loro furono assorbiti dagli enti pubblici. Così, un impiegato comunale con venti anni di anzianità si ritrovò a dover fare da tutore a gente che prendeva il doppio di stipendio e non sapeva assolutamente niente di come si amministra un ente pubblico. Naturalmente non ho prove di quanto affermo, se non la mia esperienza diretta e la testimonianza di molte persone che si ritrovarono in queste condizioni. Aiuti di Stato? Nemmeno in questo caso.

Quando poi su pressione di una persona a me vicina mi decisi a leggere la biografia dell’Ingegnere (figlio mio, che ingegnere sei, non prendertela: tu il tuo titolo te lo meriti ogni giorno), lessi una dichiarazione di De Benedetti che pressappoco diceva così. “Cominciai quasi dal nulla: avevo solo 18 miliardi (di lire, n.d.r)”.

Uno può pensare: beh, ha voluto essere ironico. Macché, ci credeva proprio. E non vi sollecito a leggere il libro, perché acquistandolo gli fareste un favore. Vi invito a credermi sulla parola.

E questo sarebbe un comunista, anzi la tessera numero 1 del PD? Un comunista che ha la cittadinanza svizzera? Tutti gli Italiani che conosco che hanno la cittadinanza svizzera lo fanno per evadere il fisco.

Come la mettiamo allora, Carlo De Benedetti? Corruzione (per ottenere aiuti di Stato non è sufficiente rivolgere una preghiera al Signore), avidità, prepotenza, evasione fiscale, cinismo, slealtà.

Leggendo la sua biografia, non quella scritta sotto sua dettatura, ma quella reale (anche su Wikipedia, se volete) le caratteristiche che ne emergono sono queste.

Ecco perché lei merita tutto il nostro disprezzo.

Mercurio

Carlo-De-Benedetti

 

 

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